SKIN (2012-13-14....)
IN ATTESA DEGLI DEI
L’arte del figurare accentua nell’oggi il suo interesse alla natura delle materie di cui si serve. A tal punto – non le basta più servirsene – che divengono le materie i temi stessi delle sue figurazioni.
Pittura e scultura sono state mai più fisiche? Si direbbe che esse vogliano retrocedere dai risultati compositivi e soprattutto tecnici acquisiti, o risalire, anche al di là delle pitture e dei graffiti rupestri dove un primo sembiante di rappresentazione era pur cercato, compiere l’ultimo passo alle spalle della cultura umana per dare luce appunto alle sue materie, alla sua viva carne brada, al suo caos fervido e, per fortuna, non ancora esaurito e tramutato definitivamente in cosmo.
Fino a che ci sarà caos, ci sarà anche cosmo, ossia materia di formazione e trasformazione.
Credo sia stata la scienza a indurre nell’artista il desiderio, la necessità anzi, di conoscere da dove, da quali possibili, la propria ispirazione sia sollecitata o con quali realtà originarie essa possa e debba andare a congiungersi.
Ho davanti a me un’opera di Claudio Fazzini, che reca l’intitolazione:
SKIN 046 LOG: HIATUS. L’indicazione centrale credo la ponga in una sequenza o sua specifica serialità. Skin, la pelle, indica qualcosa di molto sensibile e reattivo; e hiatus, l’apertura, è anche interruzione, discontinuità da assetto consueto, dunque sospensione in attesa di mutamento. E pure io che ora considero l’opera mi sento invitata ad un’attesa: la composizione non si concede a un giudizio o percezione subitanea, richiede un percorso dei miei sensi e mente, qualcosa che si aggiunga al lavoro compiuto, o meglio intenzionalmente non compiuto; posso semplificando anche dire una meditazione.
Vedo dunque sul fondo una massa di colore, viola, informe. Si può misurare l’informe? Poco, credo: piuttosto da esso può trarsi materia di forma e di misura. Non importa perciò quanto estesa sia la massa presentata, potrebbe esser grande quanto un bottone o anche meno: ma fatto è che tale massa viola si offre ai miei occhi come un caos iniziale. Il viola poi è il colore di molte vite, ad esempio di quelle vegetali: le erbe fiorite sono al loro nascere viola come alla loro fine. Viola è la luce del mondo dopo le tenebre e prima di nuovo buio. Venire alla vita è sofferenza e discontinuità fino a più tarda ricomposizione in armonia: viola e passione (viola di passione) sono quindi all’origine della primavera delle vite. Di qui è una sentita ragione e non soltanto una ragion veduta quella che percepisce il caos viola generare – nel lavoro di Claudio Fazzini – lo hiatus o l’apertura della compattezza caotica in distinguibili entità che la pelle (skin) dei miei sensi viene saggiando. Non sono realtà già formate ma in formazione e perciò in movimento: un grande corpo o flusso rosa (mutazione del viola generante) attraversa lo spazio in obliqua; è intensamente animato – sento muoversi in esso forme geometriche, vegetali e forse animali e forse pensieri in embrione. Fuoriesce dai margini tracciati, è dunque l’incontenibilità di vita. È la Grande Mater (Materia). Sento pure la presenza di realtà meno visibili o invisibili: il tronco di quello che si indovina un grand’albero sul lato destro, che sembra riprodursi man mano riempiendo senza parere lo spazio e andando verso sinistra come una scrittura di età tarda che si sovrapponga e si specchi nella primitiva scrittura, che si rende poco per volta invisibile, recuperandone i comandi all’essere e all’esistere. Penso, e vedo, pure che dal primo genitore Albero Cosmico possa stare per diramarsi una pluralità di alberi cosmici, di mondi che trae questa volta alla luce l’intelligenza di Homo sapiens, l’uomo che ha capito di poter riguadagnare la vita dalla sua interruzione e dissoluzione, dallo hiatus vertiginoso. Comprensione delicata non scevra di rischi: ma nel tardo tempo dell’umano la forza è nutrita dalla fragilità e insorge dalla vertigine del vuoto.
Sul lato superiore a circa la metà muove verso il basso la sua luce citrina un triangolo rovesciato, quasi un antico residuo solare, un velo aureo, che si appresti a cedere il posto a un astro diverso e nuovo, e intanto invia verso il flusso rosa una asciutta goccia o seme, o un graffito dealbato, messaggio forse a sensi futuri.
Caos, Mater, Albero cosmico, Oro astrale… che la meditazione raggiunge e appena sfiora in timidezza… Riprendendo le righe iniziali dove supponevamo le materie divenire esse proprio temi della figurazione, ci confermiamo in una possibile immagine di questo tipo: il mondo complesso che l’uomo ha reso tale con la sua intensa fabbrilità (homo faber) si risemplifica e si riduce, nel lavoro dell’arte, fino alle sue materie di base. Nota (non) ultima e non meno significativa: fuori dalla cornice di figurazione lungo i due lati in verticale corre una bianca seta di provenienza giapponese, fiorita di se stessa, quella usata dagli antichi e nuovi maestri di pittura orientali, un affiancamento prezioso per il significato della composizione. Seta bianca che si continua lungo i due lati orizzontali con due fasce di seta rossa di uguale qualità: scopriamo allora l’indicazione alchemica di un processo che va dalla conquistata albedo della mente che lotta per vincere l’esteriorità e l’oscura ignoranza alla rubedo più alta e raggiante dello spirito che infine contempla nello specchio dell’arte il proprio cammino non solo individuale ma anche cosmico.
Ora però dobbiamo, da meditanti e spettatori partecipi, dare il nostro contributo all’opera, e compiere come dicevamo una tre le possibilità del disegno. Io direi che le materie e gli elementi di base rappresentati in estrema astrazione in quest’opera alludano al nostro tempo come a una fase di mezzo dell’arte iniziatica (o estetico-iniziatica) provenendo oserei dire da millenni di realismo cognitivo: cosa ci sarà dopo questa fase intermedia? Credo che affioreranno di nuovo delle sembianze e dei volti dalle materie madri, dalle sete che natura tesse e dai metalli in sé preziosi ma vani quando lasciati a se stessi, dal tardo caos delle menti e delle azioni umane: dei volti e dei nuovi corpi e trasmutate forme e realtà… Forse i volti di Dio o degli Dèi…
Sapranno gli umani, in attiva esperienza, attendere?
Rubina Giorgi